COMMEDIA,INFERNO, IX

INFERNO IX

16 - 63

Giovanni Ferrero

SOTTO IL VELAME DE LI VERSI STRANI

          Traghettati da Flegiàs, Dante e Virgilio hanno attraversato la palude Stigia, e sono giunti all'entrata della città di Dite, dal sesto al nono cerchio dell'imbuto infernale. Si sono subito trovati alle prese con la tracotanza di mille demoni. Alle paure di Dante, che proponeva, nell'eventualità che fosse loro impedito il passaggio, di ritornare ripercorrendo subito le orme, Virgilio lo rincuora ricordando che la loro discesa era protetta dall'alto (VIII,105). Tuttavia anche al poeta latino i demoni avversari chiusero in faccia la porta, facendolo addirittura esitare (IX,8). A Dante che interpretò nel significato peggiore la frase tronca di Virgilio, aumentò la paura e si rivolse allora a lui come a colui che si era mostrato esperto delle cose infernali nel suo poema, ponendogli la questione se mai altri del primo cerchio, cioè del limbo, siano discesi fino al fondo.

       Dante

       16 «In questo fondo de la trista conca
       17 discende 'mai alcun de primo grado,
       18 che sol per pena ha la speranza cionca?»

       Virgilio

       19 Questa question fec'io; e quei « Di rado
       20 incontra », mi rispuose, « che di noi
       21 faccia il cammino alcun per qual io vado.
       22 Ver è ch'altra fiata qua giú fui,
       23 congiurato da quella Eritón cruda
       24 che richiamava l'ombre a' corpi sui.
       25 Di poco era di me la carne cruda
       26 ch'ella mi fece intrar dentr' a quel muro,
       27 per trarne un spirto del cerchio di Giuda.
       28 Quell'è 'l piú basso loco e 'l piú oscuro,
       29 e 'l piú lontan dal ciel che tutto gira:
       30 ben so 'l cammin; però ti fa sicuro.
       31 Questa palude che 'l gran puzzo spira
       32 cigne dintorno la città dolente,
       33 u' non potemo intrare omai sanz'ira ».

       LE FURIE E MEDUSA

        Narrazione

       34 E altro disse, ma non l'ho a mente;
       35 però che l'occhio m'avea tutto tratto
       36 ver' l'alta torre a la cima rovente,
       37 dove in un punto furon dritte ratto
       38 tre furie infernal di sangue tinte
       39 che membra feminine avieno e atto,
       40 e con idre verdissime eran cinte;
       41 serpentelli e ceraste avien per crine,
       42 onde le fiere tempie erano avvinte.
       43 E quei, che ben conobbe le meschine
       44 de la regina de l'etterno pianto,

        Virgilio

       45 « Guarda », mi disse, « le feroci Erine.
       46 Quest'è Megera dal sinistro canto;
       47 Quella che piange dal destro è Aletto;
       48 Tesifón è nel mezzo » e tacque a tanto.

       Narrazione

       49 Con l'unghie si fendea ciascuna il petto;
       50 battiensi a palme e gridavan sí alto,
       51 ch'i' mi strinsi al poeta per sospetto.

       Furie

       52 « Vegna Medusa: sì 'l farem di smalto »,
       53 dicevan tutte riguardando in giuso;
       54 « mal non vengiammo in Teseo l'assalto ».

       Virgilio

       55 « Volgiti 'n dietro e tien lo viso chiuso;
       56 ché se 'l Gorgón si mostra e tu 'l vedessi,
       57 nulla sarebbe di tornar mai suso ».

       Narrazione

       58 Cosí disse 'l maestro; ed elli stessi
       59 mi volse, e non si tenne a le mie mani,
       60 che con le sue ancor non mi chiudessi.

       INVITO AL LETTORE

       61 O voi ch'avete li 'intelletti sani,
       62 mirate la dottrina che s'asconde
       63 sotto il velame de li versi strani.

       Il poeta rivolgendosi ad un particolare lettore, sembra quasi voler sottolineare l'importanza che i versi hanno ai suoi occhi e se il suo testo esige sempre attenzione e multipli saperi e riferimenti, questa breve sezione richiede una maggior cura nella lettura.

    Il tentativo di entrare nella città infernale, cinta dalla puzzolente palude Stigia, cui sono consegnate le ombre degli insepolti, secondo il racconto nell'Eneide sicuramente deve suscitare ira (v.33), come preannuncia Virgilio. Nei versi successivi, come un intermezzo, Dante narra l'apparizione delle tre Furie sull'alta e fumante torre, descritte secondo il modello classico. Virgilio, quasi a continuazione e a conferma del v. 33, richiama l'attenzione sulleErinni, come grecamente venivano chiamate e le nomina una ad una. Dante riprende il racconto e sembra continuare la precedente descrizione delle Furie, senza interloquire con la sua guida. Le Furie improvvisamente invocano la venuta di Medusa , che secondo racconti veniva inviata dalla regina degli inferi contro coloro che volevano penetrare negli Inferi. Verso la fine dell'XI dell'Odissea, dove viene narrata la discesa nell'Ade dell'eroe, Ulisse esclama

       630 E avrei anche visto gli uomini antichi, come pure volevo
       632 ma prima si radunarono immense schiere di morti
       633 con strano grido. Mi prese una pallida angoscia,
       634 che non mi mandasse dall'Ade, l'insigne Persefone,
       635 la testa della Gorgone, il terribile mostro.
                (tr. it. G. Aurelio Privitera,Odissea,Fondazione L. Valla)

       Il richiamo della Medusa allerta Virgilio che subito invita Dante a voltarsi ad occhi chiusi per non rischiare, divenendo pietra, di non poter più ritornare.
    La narrazione conclude con l'osservazione che Virgilio ricusò il tentativo di Dante di stringersi a lui del v.51.
       Tutto è incentrato sul pericolo della testa della Gorgone, che, secondo il mito, Perseo con l'aiuto di Atena tagliò, con il conseguente inseguimento delle due sorelle immortali, Steno e Euriale. Sempre secondo il racconto classico, dal collo della Medusa balzò fuori il cavallo alato Pegaso e l'eroe Crisaore, colui che ha la spada d'oro.
       Se nel testo non v'è un esplicito riferimento a Perseo, il lettore deve conoscere il racconto antico, tanto più, che il ruolo di Virgilio che accompagna Dante, comporta anche che il lettore debba conoscere il poema latino e riconoscere che la palude Stigia è già stata descritta e rileggersi il canto VI. Su quella palude erra l'ombra di Palinuro, il nochiero della nave di Enea, balzato con il timone nel mare.
        Ora il fondo della trista conca è il più basso, il più oscuro e il più lontan dal ciel che tutto gira, (v.29), di modo che le stelle del cielo in quel luogo non sono affatto visibili. Solo al termine della cantica si leggerà infatti E quindi uscimmo a riveder le stelle (XXXIV,139). Pertanto se c'è un riferimento al cielo delle stelle, questo nell'Inferno è necessariamente nascosto e indiretto.
        Se i racconti intorno alla testa della Gorgone rimandano a Perseo, a Pegaso ed a Andromeda, liberata da Perseo durante la sua fuga dall'inseguimento delle due sorelle di Medusa, allora dobbiamo pensare dove si trovano le costellazioni di Perseo, di Pegaso, il cui quadrato comprende al suo angolo sinistro in alto a Andromedae. Dobbiamo pertanto ricercare nei versi di Dante informazioni numeriche per ricercare longitudini almeno per Perseo e Andromeda. Nel cielo si trova b Persei, il cui nome arabo è Algol, la stella demone. Quattro sono i versi i cui rimandi come anelli di una catena formano insieme un'unità:

       38 tre furie infernal di sangue tinte
       45 « Guarda », mi disse, « le feroci Erine.
       52 « Vegna Medusa: sì 'l farem di smalto »,
       56 ché se 'l Gorgón si mostra e tu 'l vedessi,

       Dal verso IX,38 si ha la coppia 9,3 da cui si può scrivere 9, 9x3, 27 - 3 che indicano il numero di mesi trascorsi dall'origine:

             Per DT = 9,27,24 mesi lunari        b Persei = 0°

        Dal verso 38 e 45 si può scrivere la seguente sequenza: 38-9 = 29; 38+3 = 41; 38+9-45 = 2 che esprime il numero di mesi corrispondenti a 2° di precessione degli equinozi, a due gradi di arco del primo ciel che tutto gira (Nona sfera).

             Per DT = 29,41;2 mesi = 2°.

        Dai versi 45,52,56, per differenza successiva si ottiene la coppia 7,4 la cui differenza seconda è 3.

             Per DT = 7,4,3 mesi      Sirio = 9,27,24 mesi
                                                  Andromeda = Sirio - 90°
    Per la precedente equivalenza si può agevolmente trovare che 90° di precessione equivalgono a 80146.5 mesi.

          Poichè era stato preannunciato da Virgilio un aiuto celeste e il messo compare camminando sulla palude Stigia e apre la porta serrata dai demoni con una verghetta (vv.88-90) si può ricercare se il messo dal cielo corrisponda ad una stella, diversa da quelle presenti nel mito di Perseo.
          Se infatti rileggiamo i vv. 45-56, abbiamo i nomi delle tre Erinni, quello di Medusa senza i nomi delle due sorelle. Avremo pertanto la sequenza, 3, 2, 45-56 che individua un tempo di origine, quando Capella misurò 0°:

              Per DT = 3,2,-11 m                  Capella = 0°

          La dottrina nascosta sotto il velame dei versi strani non è da ricercarsi in una interpretazione tropologica, cioè morale, della presenza delle Furie e del richiamo di Medusa nel sesto cerchio. Tale significato non costituisce contenuto di dottrina, di ciò che si insegna e si apprende. Per ora appare piuttosto la interpretazione del mito di Perseo, indirettamente richiamato dal nome di Medusa, necessario anche per rileggere i passi dell'Eneide di un'altra discesa dell'eroe troiano quando giunse vicino a Cuma, dopo la perdita del nochiero Palinuro. Enea infatti domanda alla Sibilla Cumana che gli sia insegnato il cammino e che le sacre porte del re infernale gli siano aperte, per poter compiere un viaggio fino al cospetto del suo caro genitore. (VI,106-109). Solo se coglierà il frutto dedicato a Giunone infernale e il ramo d'oro potrà discendere. Alla visione di una turba che corre al fiume presso gli stagni profondi di Cocito e la palude Stigia, l'eroe domanda quale sia il destino di quelle anime e la Sibilla risponde che il traghettatore Caronte porta solo i sepolti e lascia gli insepolti. Tra questi scorge il pilota Palinuro cui Enea pone una questione che l'affligge circa un responso di Apollo. « Né te il tripode di Febo ingannò,...,né me un dio nella distesa delle acque sommerse: il timone, infatti, per la violenza di un colpo fortuito si staccò, mentre mi era affidato e lo stringevo, reggendo la rotta; precipitando, lo trassi con me.(...) Per tre tempestose notti sull'immensa distesa delle acque lo scirocco mi spinse col suo impeto; appena appena, alla quarta aurora vidi in lontananza l'Italia levarsi dall'alto di un'onda.» (Eneide ,VI,347-357: tr. it. Carlo Carena, UTET).

          La formula, Per tre ..notti e ..alla quarta aurora, ricorda i celebri versi danteschi sul naufragio di Ulisse. Il confronto di Ulisse e di Enea non tocca solo la differenza del loro viaggio ma i versi di Dante contengono nella descrizione del naufragio quasi un calco di due versi dell’Eneide che recitano: ma un’onda agendo tutt’attorno la nave tre volte la fa ruotare e un rapido gorgo d’acqua l’inghiotte, e nel testo latino: ast illam ter fluctus ibidem/torquet agens et rapidus vorat aequore vertex. (Eneide, I, 116-117) a fronte del verso dantesco : Tre volte il fé girar con tutte l’acque, che appare quasi la traduzione del verso virgiliano.
          Discendere nell'Inferno e dialogare con i morti come fa Enea con Palinuro e Dante con tutti i personaggi che incontra significa andar indietro nel tempo. Così se troviamo nei versi dell'Eneide « tre notti e quarta aurora » per la vicenda di Palinuro e nell'Inferno XXVI, 139-140 ; « Tre volte il fé girar ../ a la quarta ..» per il naufragio di Ulisse, allora dobbiamo vedere in quell'annotazione numerica i termini per scrivere intervalli temporali rispetto ad un'origine.

              Per Palinuro               Per Ulisse

              T2 + 4° 0' 12" -7"'     T2 + 4° 3' 12" -12"'

      Poiché il naufragio di Ulisse non può essere contemporaneo all'incontro di Enea con l'ombra di Palinuro, le due sequenze, pur essendo scritte con i due termini numerici 3 e 4, devono essere diverse. Il primo intervallo si trova a 3565 mesi dall'origine che deve essere determinata, mentre la seconda a 3609.5 mesi. Nel primo caso siamo al plenilunio e nel secondo al novilunio.
       Partendo dalla stella connessa al messo dal cielo che con la « verghetta » apre la porta della città di Dite, ponendo

            To + 3,2,-11 mesi = T1

      si può cercare a quanti mesi lunari corrisponde l'espressione, tratta da IX,38,

            DT = 38;29,20,29 giorni di differenza anno sidereo e anno tropico

      I mesi sono 33731 = 9,22,11  moltiplicando DT = 38;29,20,29 per 1488 e dividendo per 21 si ottengono gli anni tropici. Moltiplicando questi per 365.2422 e dividendo per 29.5306 si ottengono mesi 33730.9990... (Gli algoritmi arcaici presuppongono proprio questi parametri!) Allora congiungendo 3,2,-11 mesi per la stella dell'Auriga e 9,22,11 per l'intervallo si ottiene il tempo distante da T2 0,59,25 mesi. sicchè

          T2 = 3,2,-11 + 9, 22, 11 - 59, - 25 = 11,24,35 mesi.

       A questo risultato siamo giunti passando dalla lettura dell' Eneide . È necessario però ritrovare il valore per T2 direttamene nel canto IX, che consta di 133 versi.Se scriviamo il numero dei versi nel sistema sessagesimale avremo IX,2,13, sicchè dalla sequenza 9,2,13 si ottiene

         T2 = 9+2,11+13,11+24 mesi = 11,24,35 mesi

      L'insegnamento dottrinale nascosto nel canto IX e in particolare nei primi 60 versi concerne tre origini: Capella dell'Auriga quando determinò l'equinozio di primavera; b Persei , quando l'eroe tagliò la testa di Medusa e l'intervallo 11,24,35 mesi e un'equivalenza per la trasformazione dell'arco di precessione in mesi lunari (29,41;2 mesi = 2°). Il riferimento a Sirio viene indirettamente dato dalla regina de l'etterno pianto, dal momento che la stella è soggetta ad un lungo periodo di invisibilità ( in primavera? ) e quello ad Andromeda dalla conoscenza dei racconti su Perseo.
         Siamo proprio al centro dei racconti antichi precedenti l'instaurarsi della sovranità di Zeus, raccontata da Esiodo. Si tratta di capire la metafora del cavallo alato uscito dal collo di Medusa e come i suoi capelli siano serpenti, nello stesso modo in cui Dante descrive le Furie. Ora i serpenti hanno un rapporto con la rivoluzione dei nodi lunari (testa e coda del dragone) e la distanza ( l sole - l nodo lunare = P° ) è l'argomento per valutare la latitudine lunare. Quando P° = 0° la latitudine lunare è 0° e pertanto essa si trova sul piano dell'eclittica, per cui al plenilunio e al novilunio vi sono le condizione di un'eclisse lunare o solare. L'improvviso oscurarsi del sole è ben un evento terrificante per gli antichi, che non potevano prevedere il luogo della sua apparizione. Pertanto dobbiamo aspettarci che quando b Persei = 0° sia anche 0° P°. Allora questo plenilunio risulta essere l'origine per il calcolo del valore di P° dato il numero di mesi trascorsi e l'incremento medio mensile DP°. Il cavallo alato Pegaso, il cui nome secondo Esiodo deriverebbe da fonte (peghè), traduce sul piano dei significanti la tematica esposta. Le ali servono per innanlzarsi e per discendere. Ammesso che il calvallo alato Pegaso sia il nome metaforico dell'incremento medio mensile di P°, o del numero dei mesi lunari necessari affinchè l'incremento sia di 360°, si tratta di vedere se nella struttura dei versi vi siano indicazioni sufficientemente chiare, malgrado che la dottrina sia ben nascosta.
       Alla questione posta da Dante, 15 versi sono dedicati alla risposta di Virgilio, 19-33, mentre la narrazione di Dante comprende 11 versi, 34-44, fino alle parole ripotarte di Virgilio. Si ha la seguente struttura:

                                 15 vv.    19-33
                                 11 vv.    34-44

       Il canto IX al verso 38, che comprende « tre furie », permette di scrivere 9,27,24 mesi per il tempo in cui la stella di Perseo misurò 0° e P° = 0°, cioè permette di collocare nel tempo l'azione narrata nel mito: Perseo che tagliò la testa alla Gorgone. Si può vedere, sapendo in anticipo un valore approssimato dell'incremento medio mensile di P°, che dalla precedente struttura si possono scrivere le seguenti uguaglianze:

        Per Pegaso alato

                    11;44,15,19 mesi * D P° = 360°.
                    D P° = 360°/11;44,15,19 = 30° 40' 14" 30iv ogni mese lunare

       Per Pegaso stella

            a Peg = 360° - (15,15+11,15-11) mesi      quando b Persei = 0°

          essendo 360° = 180° * (29,41;2) mesi = 4 * 80146.5 mesi.



© 2005 Proprietà letteraria riservata