Giovanni Ferrero

     

     

    In lode di  Dante

    Sapere astronomico pubblico e tradizione sapienziale nella data di morte di Beatrice

     

     

     

    E avvegna che forse piacerebbe a presente trattare alquanto de la sua partita

       da noi, non è lo mio intendimento di trattarne qui per tre ragioni: la prima è che ciò

       non è del presente proposito, se volemo guardare nel proemio che precede questo

       libello; la seconda si è che, posto che fosse del presente proposito, ancora non

       sarebbe sufficiente la mia lingua a trattare, come si converrebbe, di ciò la terza si è

       che, posto che fosse l'uno e l'altro, non è convenevole a me trattare di ciò, per

       quello che, trattando, converrebbe essere me laudatore di me medesimo, la quale

       cosa è al postutto biasimevole a chi lo fae: e però lascio cotale trattato ad altro

       chiosatore.

     

    Vita Nova,XXVIII,2

     

    In verità coloro che non credono nell’Oltre nomano gli angeli di nomi di femmina,

     

    Corano,  Sura 53,27

     

    E che è lui [Allah] il Signore di Sirio?

     

    Corano, Sura 53,49

     

    Se la tradizione dell’interpretazione simbolica del testo del Libro sacro [Corano] dovesse scomparire,

     e se il testo dovesse essere così ridotto al suo significato letterale, l’uomo potrebbe conoscere ancora il suo dovere ma il “testo cosmico” diventerebbe inintelligibile

    SEYYED HOSSEIN NASR, Scienza e Civiltà nell’Islam, Introduzione

     

     

     

                    Le ragioni che Dante adduce nel cap. XXVIII, 2 [19,2 ediz. G.Gorni]  per non commentare la morte di Beatrice, l’evento attorno al quale è organizzata la scrittura della Vita Nova, hanno lasciato e lasciano perplessi gli studiosi, e soprattutto la terza, - converrebbe essere me laudatore di me medesimo - giustamente sembra a Gorni, “la ragione più oscura”. A commento di questo passo il Gorni così osserva: Tutto questo paragrafo è un’excusatio d’autore del suo tacere la partita di Beatrice per tre ragioni, di cui solo la seconda appare chiara, ed è anche la più banale (ineffabilità dell’evento). Le altre due ragioni - il vincolo imposto dal proemio, e cioè dall’interno del paragrafo 1; la sconvenienza di essere per ciò stesso, laudatore di me medesimo (c.29 - sono assai meno decifrabili .

    Qui vorremo mostrare, per quanto ci è possibile nel modo più piano e leggibile, che la terza ragione  si rivelerà non solo chiara e pertinente, ma anche centrale se solo si segue passo passo il testo e lo si commenta secondo i due registri su cui è intessuto il racconto, quello del sapere pubblico dei testi astronomici e cronologici conosciuti e citati e quello della tradizione sapienziale, alla quale Dante con indiscutibili allusioni e passaggi si riferisce, il cui significato però ci permane oscuro: a partire proprio dal “numero del nove” (V.N., XXXVIII,3 [19,3]).  Su tale numero, a differenza dell’evento della morte, promette di dire alcune ragioni “per che questo fue a lei cotanto amico”. Ma il suo dire appare estraneo ai codici pubblici di comunicazione, poiché egli non spiega ciò che intende dire a chi non sa, ma solo allude per chi sa o è capace di riconoscere l’oggetto del discorso.

                Prima però di esporre le due ragioni, che legano il numero nove a Beatrice, lasciando ad altri di indagare con più acutezza su quel legame per una “più sottile ragione”, Dante presenta con una artificiosa perifrasi la data della morte avvenuta un’ora dopo il tramonto dell’ 8 giugno 1290. Questa data non viene scritta, può essere solo ricavata dal lettore mediante un calcolo, in cui interviene un riferimento al calendario arabo, a quello siriaco e a quello cristiano.

    Poiché il giorno inizia “secondo l’usanza d’Arabia” alla sera dopo il tramonto, si tratta del “nono giorno del mese”; il mese è il nono rispetto al calendario siriaco-ebraico, che inizia al mese di ottobre, ed è pertanto giugno; e rispetto al calendario cristiano l’anno della morte registra nove volte il numero perfetto 10 ed è nel  13mo secolo dell’era cristiana: 1290. Apparentemente in questo modo l’esplicitazione del legame del numero nove con Beatrice viene reso visibile.

    C’è da dubitare che l’artificio mirasse solo a questo. Infatti il riferimento all’usanza d’Arabia poteva essere evitato sostituendo ad esso il medesimo uso che i lettori cristiani conoscevano dai  racconti evangelici della Passione di Cristo. Riferirsi all’Arabia in quel momento storico significava indicare ai lettori un termine di confronto che i cristiani, dopo le crociate, avevano avuto e per l’uomo colto pensare alla storia dell’Islam e al Profeta Muhammad.

     Quanti tra i lettori di Dante in quel periodo, scritta la data della morte di Beatrice, avrebbero riconosciuto che essa cadeva addirittura nell’anniversario di un’altra morte , quella del Profeta avvenuta appunto l’8 giugno 632 , dieci anni lunari dopo l’arrivo a Medina il 25 settembre 622 ?  Ora per noi è facile riconoscere la corrispondenza delle due date, tanto più che nell’ultimo decennio in Italia, si è diffusa in certo qual modo la conoscenza almeno della storia dell’Islam, se non della sua cultura. Tuttavia, stando agli studi sulla “Beatrice” di Dante, ci pare che nessuno abbia notata questa corrispondenza e si sia interrogato su di essa. Robert L. John, pur persuaso di un legame stretto di Dante con la “gnosi” del Templari e con alcuni aspetti della cultura islamica, non fa tuttavia alcun cenno a tale anniversario .

                La prima questione che si pone riguarda la critica storica. All’epoca di Dante era conosciuta la data di morte del Profeta dell’Islam? A questa domanda lasciamo che siano gli storici della cultura medioevale a rispondere, andando a cercare negli archivi delle biblioteche manoscritti e codici. Poiché si può anche non trovare la fonte scritta accessibile a Dante per la conoscenza della storia dell’Islam,  si impone alla ricerca il compito di pensare quale nuovo orizzonte di senso e quale nuovo percorso di lettura della Vita Nova potrebbe emergere partendo da quella corrispondenza.

                La data del 25 settembre 622 fu invece sicuramente accessibile a Dante mediante la lettura di Al-Farghani. Infatti l’era dell’Egira, del distacco dalla comunità tribale della Mecca, che si suole tradizionalmente far cominciare il venerdì 16 luglio dello stesso anno nell’uso civile (mentre per gli astronomi arabi comincia il giovedì 15) comporta un cambiamento di origine per il calendario lunare islamico. Mediante la lettura del testo di Al-Farghani, il cui primo capitolo è dedicato alle varie ere, è possibile risalire al plenilunio di autunno, che cade proprio al 25 settembre. Bausani nell’introduzione alla sua traduzione in italiano del testo coranico così scrive: Il 20 o il 25 settembre Muhammad giunge a Yatrib; che sarà nota col nome di Madinat an-nabi, “la città del Profeta”, o Medina per antonomasia.

    Conosciuta questa data, un fiorentino cristiano, per memorizzarla, avrebbe riconosciuto immediatamente che essa si poneva sei mesi dopo la festa liturgica dell’Annunciazione (25 marzo) e tre mesi prima della festa del Natale cristiano d’occidente (25 dicembre). Inoltre il 25 marzo non era solo la data di una festa religiosa, ma a Firenze rappresentava l’inizio dell’anno in uso presso la cancelleria: è il cosiddetto stile fiorentino in cronologia.

                Dato l’inquadramento astronomico e cronologico della Vita Nova, Dante, benché non lo dica, poteva sapere che l’8 giugno del 1290 era anche la data di un novilunio, mentre noi possiamo controllare che l’8 giugno del 632 era la data di un plenilunio.

                A questo punto è possibile calcolare quanti mesi lunari intercorrono tra il 25 settembre 622 e l’8 giugno 1290 oppure consultando le tavole dei noviluni e dei pleniluni di Herman Goldstine confrontare i due numeri d’ordine dei noviluni e dei pleniluni. Il primo si trova a 20070 mesi dal primo plenilunio del 1001 a.C., 25 gennaio, e il secondo a 28329 mesi dal primo novilunio del 1001 a.C., 11 gennaio, cominciando la numerazione da 0. L’intervallo tra le due date è costituito da 8258.5 mesi lunari. Di per sé questa espressione numerica di mesi non rimanda ad altri legami propri del “libro della memoria”. Tuttavia è possibile trasformare quell’espressione temporale calcolando l’arco di precessione corrispondente. Senza questa operazione il testo di Dante non diviene significativamente intelligibile, ma rimane nella sua stranezza ermeticamente chiuso.

                Questo passaggio è il più difficile da compiere. Infatti si tratta di mettere a confronto due tradizioni, quella del sapere pubblico astronomico, esplicitamente citato da Dante, e quello della tradizione sapienziale, che rappresenta la persistenza della cultura arcaica sorta nel quadro della cosmologia arcaica.

                Quando Dante all’inizio della Vita Nova vuol indicare precisamente l’età “della gloriosa donna”, al loro primo incontro, quando egli aveva quasi compiuto nove anni e la fanciulla era all’inizio del nono così si esprime: “Ella era già in questa vita stata tanto, che nel suo tempo lo Cielo Stellato era mosso verso quella parte d’oriente delle dodici parti l’una d’un grado “ (VN,I,3), cioè 5 primi.

                Non avendo egli esplicitamente in questo passo indicata la costante della precessione lasciava al sapere astronomico del lettore di trovare gli anni corrispondenti all’arco di 5’. La questione riguarda il moto dell’ottava sfera, presente nel Convivio II, 5,16 : il movimento de la stellata spera, da occidente a oriente, in cento anni uno grado; e cfr. II,14,11: E per lo movimento quasi insensibile che fa da occidente ad oriente per uno grado in cento anni, significa le cose incorruttibili, le quali ebbero da Dio cominciamento di creazione e non averanno fine; e di queste tratta la Metafisica.

                La costante di precessione per la quale  ad 1° corrispondono 100 anni è quella indicata da Tolomeo,  che Dante trovò nel compedio di Astronomia di Al-Farghani, che egli cita nel Convivio (II,5,16; II,14,3; II,14,11; IV,8,7) sotto il titolo di Aggregazione de le Stelle (Liber de aggregationibus scientiae stellarum conosciuto anche come Elementa astronomica).

                Se non c’è dubbio che il dodicesimo di un grado di arco del moto dell’ottava sfera, di cui parla Dante all’inizio della Vita Nova, corrisponde a otto anni e un terzo, con una differenza di otto mesi tra Dante e Beatrice, per la trasformazione  dell’intervallo tra il 25 settembre 622 e l’8 giugno del 1290 in valori angolari di precessione non è poi così sicuro che si debba ricorrere alla medesima costante, che risulta erronea alla luce non solo dei calcoli e delle osservazioni della attuale scienza astronomica, ma anche alla luce dell’astronomia araba e diversa da quella in uso presso la tradizione sapienziale. La questione che a questo punto solleviamo è la seguente.

    Dante non segue forse due tradizioni, quella scientifica greco-araba, pubblicamente conosciuta, e quella della cosmologia arcaica i cui parametri e i cui calcoli, pur distinguendosi dalla prima, costituiscono la base della tradizione sapienziale delle culture antiche? Per questa tradizione la costante di precessione è di 50” per anno, sicché sono necessari solo 72 anni per un arco di 1°. Il valore attualmente seguito dagli astronomi è leggermente superiore ai 50” per anno.

                Due sono le ulteriori questioni, una riguarda la storia dell’astronomia e la possibilità per Dante di rendersi conto che il dato letto in al-Farghani fosse errato non rispetto a Tolomeo, ma rispetto alla realtà, e l'altra riguarda i testi di Dante e la loro comprensione.

    Perché mai Dante collega, sia  nella Vita Nova che nel Convivio, Tolomeo e la verità cristiana riguardo al numero dei cieli? Il semplice fatto storico che nella tradizione cristiana sia stata recepita parte dell’astronomia ellenistica, non comporta di per sé una spiegazione. A questo proposito è necessario rilevare l’insistenza con la quale Dante nel Convivio traccia il graduale avvicinamento alla verità proprio sulla questione del moto dell’ottava sfera. “Aristotele credette, …., che fossero pure otto cieli, dei quali lo estremo, e che contenesse tutto, fosse quello dove le stelle fisse sono, cioè la spera ottava; (II,3,3); Tolomeo poi, accorgendosi che l’ottava spera si movea per più movimenti, ….., pose un altro cielo essere fuori de lo Stellato, lo quale facesse questa revoluzione da oriente a occidente..” (II,3,5).

    Ai  nove cieli di Tolomeo Dante aggiunge un decimo: Veramente, fuori di tutti questi, li cattolici pongono lo cielo Empireo, che è a dire cielo di fiamma o vero luminoso; e pongono esso essere immobile… (II, 3, 8). Quest’ultimo è il cielo dei beati - Questo loco è di spiriti beati, secondo che la Santa Chiesa vuole, che non può dire menzogna: -  (II,3,10). Questo passo non tocca però la struttura della cosmologia e la questione che abbiamo posto.

                Se i cieli si muovono si pone il problema di chi li muove:  al loro movimento sono associati  “sustanze separate da materia, cioè Intelligenze, le quali la volgare gente chiamano Angeli” (II,4,2). Ora questa questione pare a Dante molto importante ed egli ritiene che la verità su di essa  sia difficile da vedersi per due ragioni, “e per difetto di ragione e per difetto d’ammaestramento” (II,4,8). All’inizio del capitolo 5 ritorna su questa difficoltà riaffermandola: “Detto è che per difetto d’ammaestramento li antichi la veritade non videro de le creature spirituali” (II,5,1), mentre in parte la raggiunse il popolo d’Israele, ad opera dei suoi profeti. I cristiani, poi, “ammaestrati da colui che venne da quello, da colui che le fece, da colui che le conserva, cioè da lo Imperadore de l’universo, che è Cristo”  , ebbero completa la conoscenza su questo punto.

    Sarebbe un controsenso vedere in queste parole una riduzione del cristianesimo a gnosi cosmologica, tuttavia ciò che esse esigono, per essere comprese è ben lontano dall’essere oggi chiarito.  Non è Cristo in quanto “Salvatore del mondo” che Dante sottolinea in quel passo del Convivio, ma Cristo in quanto “Imperadore dell’universo”. E per comprendere questo passo non è sufficiente ricordare i numerosi affreschi di Cristo pantocratore, seduto sul trono nelle absidi delle chiese del periodo romanico. Infatti c’è da comprendere il senso della relazione  posta da Dante tra Cristo “Imperadore dell’universo” e la dottrina delle creature spirituali.

                Se nove sono i cieli secondo Tolomeo e secondo la cristiana veritade, e sono nove per il moto proprio dell’ottava sfera, ciò che è necessario sapere è il valore della costante di precessione. Come abbiamo più sopra riferito, la tradizione tolemaica, presente in al-Farghani, implica la corrispondenza di un grado ogni 100 anni.

    Su questo argomento nel Medio Evo circolavano due testi, De motu octave sfere, una traduzione latina di Gherardo da Cremona di un testo arabo  attribuito a Thabit ibn Qurra  e De anno solis, concernente la lunghezza dell’anno solare tropico. Anche questa è traduzione latina di un’opera che una tradizione araba attribuisce a Thabit. Il primo testo presenta una dottrina, la trepidazione delle stelle, che difficilmente può essere attribuita a Thabit, mentre il secondo è uno dei contributi più importanti dell’astronomia araba e si pone, come è stato osservato, tra Tolomeo e Copernico, anticipando alcune questioni che saranno affrontate da Retico e Copernico stesso. La determinazione dell’anno tropico del sole, ad esempio, sarà la questione da risolvere per la riforma  del calendario gregoriano in Occidente.

                Ciò che caratterizza De anno solis , il cui testo arabo si trova nell’edizione critica delle opere astronomiche di Thabit ibn Qurra a cura di Regis Morellon, è chiaramente presentato dallo studioso: si tratta di una riscrittura del terzo libro dell’Almagesto di Tolomeo sul modello solare. Esso è precedente all’attività scientifica dell’astronomo arabo e pare, seguendo un’indicazione di Al-Biruni, da attribuirsi al circolo scientifico dei Fratelli Musa, Banu Musa, nella cui cerchia collaborò come astronomo e traduttore Thabit ibn Qurra. Questa riscrittura dipese da accurate osservazioni astronomiche sugli equinozi e solstizi e sull’incremento di longitudine di Regulus, Cor Leonis, dall’epoca delle osservazioni di Ipparco (-127,V,16) all’equinozio di autunno dell’ 830. In conseguenza di questa osservazione e di altre, la costante di precessione delle stelle è stata calcolata in 0;0,49,39 per anno. Il dato si trova sia nel testo arabo che in quello latino.

    Tuttavia l’importanza di questo testo non risiede tanto nel valore di questa costante, straordinariamente prossima a 0;0,50,1, calcolata da Bruno Morando, direttore del Bureau des Longitudes di Parigi, quanto nell’innovazione del modello solare rispetto a quello tolemaico. Sia Thabit  che Al-Farghani su questo punto innovano Tolomeo ponendo “un legame tra il movimento dell’apogeo della sfera solare”, punto della massima distanza del sole dalla terra, “e il movimento di precessione delle stelle fisse”. Questi due movimenti sono solidali in quanto il cerchio su cui si muove il sole è solidale al cerchio su cui si muove l’ottava sfera delle stelle.

    In un altro testo di Thabit sulla presentazione delle sfere e la loro disposizione si trova menzionato questo legame: Il piano del cerchio del sole è situato sul piano dell’eclittica, non è inclinato, ma il centro di questo cerchio è distinto dal centro dell’eclittica e si chiama “cerchio eccentrico”. E’ su questo che avviene il progresso del sole di circa cinquantanove primi al giorno. Tolomeo ha menzionato che l’apogeo di questo cerchio non si sposta,  ma, secondo ciò che è stato stabilito a partire dal calcolo della “tavola verificata”, l’apogeo di questo cerchio progredisce, nello stesso senso dei segni, di un movimento uguale a quello delle stelle fisse. In termini simili si esprime Al-Farghani, come è esplicitamente dichiarato da Morelon che rimanda alla edizione dell’opera di Al-Farghani del 1699.

                Crediamo si trovi anche in Dante il legame della sfera del sole con il moto precessivo dell’ottava sfera, quando  descrive il terzo cielo, quello di Venere con un riferimento proprio al testo di Al-Farghani  nella premessa al commento alla canzone Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete.

     Nel discutere delle “sostanze separate da materia” che muovono i cieli, il compito di “movitori del cielo” (II,V,13) per il terzo cielo è dato, secondo una congettura dichiarata ragionevole, ai Troni, mentre gli arcangeli presiedono al cielo di Mercurio e gli angeli a quello della Luna. Il numero poi dei Troni corrisponde al numero dei diversi movimenti del terzo cielo: “Li quali [movimenti], secondo che nel libro de l’Aggregazione de le stelle epilogato si trova da la migliore dimostrazione de li astrologi, sono tre: uno, secondo che la stella si muove [p]er lo suo epiciclo; l’altro, secondo che lo epiciclo si muove con tutto il cielo igualmente con quello del sole; lo terzo, secondo che tutto quello cielo si muove seguendo lo movimento de la stellata spera, da occidente a oriente, in cento anni uno grado. Sì che a questi tre movimenti sono tre movitori.” (Convivio II, 5, 16). In questo stringatissimo testo è difficile, per chi non conosca tecnicamente il sistema  tolemaico, riconoscere la possibile presenza dell’innovazione del modello solare operato dall’astronomia araba e non soffermarsi semplicemente sul valore della costante della precessione delle stelle fisse. Il testo di Dante o meglio, la nostra lettura, implica che il centro dell’epiciclo del pianeta Venere si trovi sull’eccentrico, lungo il quale si muove uniformemente il sole, e un punto del medesimo cerchio dell’eccentrico, essendo  legato al moto precessivo delle stelle fisse, fa sì che la sfera di Venere sia soggetta al moto dell’ottava sfera.

    Senza la conoscenza degli studi di R. Morelon sull’attività scientifica di Thabit ibn Qurra non saremmo giunti a questa lettura del passo di Dante, conosciuto da tutti gli studiosi. Non saremmo giunti ad individuare in quel passo e in altri, almeno come ipotesi di ricerca,  l’innovazione araba al modello tolemaico del moto solare.

                Dal passo non si evince, però, la consapevolezza di una novità rispetto a Tolomeo. Rileggendo la canzone a commento della quale tutti questi riferimenti astronomici, cosmologici,  filosofici, teologici sono addotti, per ben due volte (al verso 3 e al verso 10 della canzone) troviamo esplicitamente dichiarata una novità: “udite il ragionar ch’è nel mio core,/ch’io nol so dire altrui, sì mi par novo;”,  “Io vi dirò del cor la novitate,”. In che cosa consista quella novità, quel segreto del cuore di Dante difficile da dire ad altri, non è chiarito dagli studiosi. Il conflitto che Dante descrive nella canzone non è tale, ci pare, da essere di per sé un ragionare difficile da comunicare, se si riferisce unicamente ai due amori, quello nuovo per la “Donna gentile” e quello per Beatrice, “un’angela, che ‘n cielo è coronata” (v.29).

                Se quanto abbiamo esposto finora rientra nella tradizione delle fonti medioevali sul numero dei cieli in rapporto al sapere astronomico, tuttavia non è ancora chiarito in che senso per Dante nove siano i cieli, anche secondo la cristiana dottrina. Sembrerebbe, infatti, da ricercare una ragione intrinseca alla tradizione cristiana, ragione dalla quale consegua l’angelologia che egli espone. Non riteniamo che possa essere l’angelologia seguita dai cristiani la dottrina cui Dante si riferisce. Riteniamo piuttosto che la ragione sia connessa all’ ”ammaestramento” di cui parla all’inizio del capitolo V legato all’ “Imperadore dell’universo”.

    Se infatti il moto precessivo dell’ottava sfera, non conosciuto da Aristotele, è la ragione dell’introduzione della nona sfera da parte di Tolomeo, la dottrina cristiana, secondo la quale nove sono i cieli, deve comprendere, se è compiutamente esposta, anche la costante della precessione e la sua misura. Questa dottrina si trova sullo sfondo e orienta il senso di una affermazione del Convivio difficilmente afferrabile nel suo senso proprio e perciò viene generalmente letta  in senso metaforico.

    La scansione secondo la quale è strutturato il testo di Convivio  II,5,13-14, Cielo di Venere- Troni-amore del Santo Spirito-effetto del cielo sulle anime secondo la loro disposizione, non può essere chiarito mediante una semplice parafrasi.. Né i passi precedenti sul triplice modo in cui possono essere contemplate le tre persone della Trinità dai nove cori, né il sintagma “naturati dall’amore del Santo Spirito”, riferito ai Troni, possono essere ridotti ad una metafora immaginifica che ispirò l’arte iconografica cristiana, senza alcun senso proprio. Qui Dante tocca l’implicazione cosmologica o, meglio, i vestigi nel cosmo, della dottrina trinitaria cristiana. Se in base alla tradizione del De Trinitate di S. Agostino, è afferrabile il significato antropologico della “potenza somma del Padre” (Convivio,II,V,8) della “somma sapienza del Figliuolo” (ivi) e della “somma e ferventissima caritade de lo Spirito Santo” (ivi), è totalmente trascurato il risvolto cosmologico della dottrina trinitaria. Ma è indubitabile che vi sia nel testo di Dante questo risvolto, poiché parla di Intelligenze motrici dei cieli e  discute di cosmologia e di astronomia. Il senso squisitamente tecnico, però, di quelle affermazioni non appartiene più alla cultura e alla scienza d’oggi.

    Il problema del numero dei cieli, della loro disposizione e dei loro moti è una questione che viene trattata mediante schemi geometrici; tuttavia l’oggetto di tale sapere non riguarda propriamente lo spazio, ma il tempo e la sua misura ed espressione. In questo senso la questione della misura della precessione delle stelle riguarda la possibilità o meno di risalire da un tempo ad una posizione nello spazio: dove si trova il sole, qual è la sua longitudine, un’ora dopo il tramonto a Firenze il  6 giugno 1290?  Oppure, a quale valore angolare di incremento di longitudine delle stelle corrisponde l’intervallo dal plenilunio di autunno 25,9,622 fino al novilunio della morte di Beatrice?  La misura che deve essere qui impiegata non è né quella di Tolomeo, né quella del testo di Thabit ibn Qurra, benché sia molto vicina, ma quella della tradizione sapienziale arcaica di 50” per anno.

    A questo proposito si pongono due questioni, l’una relativa all’esistenza di questa misura nella cultura arcaica e l’altra relativa a quale fonte Dante attinse l’informazione necessaria.

    Sulla prima questione ricordiamo semplicemente l’occorrenza del termine numerico cinquanta in diversi racconti e miti (i sette armenti di vacche e sette belle greggi di pecore di cinquanta bestie ciascuno dell’Odissea XII,129-130; Hermes che ruba le cinquanta vacche dall’armento di Apollo nell’Inno IV omerico Ad Ermes, vv.74-76 e i cinquanta cani di Atteone Apollodoro, 4,4 etc…). Nella tradizione ebraica e in quella cristiana, la festa liturgica della Pentecoste veniva celebrata nel cinquantesimo giorno dalla Pasqua (II Maccabei, XII,32; Atti degli Apostoli II,1-47). Ciò avrebbe potuto suggerire, a chi si fosse posto la questione avendo le conoscenze necessarie, un rapporto tra la grandezza del termine temporale e il riflesso  cosmologico della presenza dello Spirito.

     Dante sicuramente conosceva i testi sulla Pentecoste e aveva le conoscenze necessarie per porsi la questione. Secondo noi, Dante vede il moto dei cieli nell’ordine cosmologico come una imperfetta immagine della funzione dello Spirito Santo che, nell’ordine storico-antropologico, muove le volontà al bene. Questo moto celeste è implicato nell’aleggiare dello Spirito di Dio sulle acque all’inizio del Genesi. Sicchè l’inciso che Dante nel Convivio attribuisce ai Troni, naturati dall’amore del Santo Spirito,  ha un significato tecnico: uno di questi Troni esprime esattamente l’arco che l’ottava sfera delle stelle fisse compie per l’intervallo di tempo relativo al ciclo del pianeta Venere, sulla base della costante della precessione di 50” per anno.

    Applicando tale constante, l’intervallo di tempo intercorso dal plenilunio del 25,9,622 (data dell’entrata a Yatrib del Profeta Muhammad)  al novilunio del 8,6,1290 ( data della morte di Beatrice, avvenuta nell’anniversario della morte del Profeta) produce un arco di precessione delle stelle dell’ottava sfera pari all’angolo di:

     

                                                   9;16,25,51.27..

     

    ( nove gradi, sedici primi, venticinque secondi, cinquantun terzi,…) che con un’approssimazione in difetto di poco più di una parte su 216000 può essere espresso dall’espressione sessagesimale:

     

                                                   9;16,25,50

     

    Prima di commentare questo inatteso risultato è necessario rileggere Dante.

     

    La seconda ragione che egli adduce per il legame del nove a Beatrice sottolinea la caratteristica che tre è la radice del nove: “Lo numero del tre è la radice del nove, però che, sanza numero altro alcuno, per sé medesimo  fa nove, sì come vedemo manifestamente che tre via tre fa nove.” (VN,XXIX,3; 19,5 ediz. G.Gorni) Questa pura annotazione aritmetica è evidenziata in una frase a sé stante,  ed è la premessa alla similitudine riferita a Beatrice di essere un nove, addotta in seguito. Tenendo presente quanto Boezio scrive sul novenario ( Et in novenario, quoniam tribus numeris procreatur, latus ternario continetur, atque idem in aliis videre licet ) quella annotazione di Dante suggerisce  di continuare il calcolo per i numeri successivi al tre: quattro è la radice del sedici e cinque la radice del venticinque e così via. Viene in questo modo trovato il riferimento alla prima terna pitagorica del triangolo rettangolo con i lati 3,4,5.

    Due sono dunque le affermazioni, che possono intuitivamente essere viste nella precedente successione numerica. La prima, aritmetico-geometrica, è semplicemente il teorema di Pitagora applicato al triangolo rettangolo con i lati 3,4,5;  la seconda, astronomica, riguarda la costante della precessione, il cui valore aritmetico è risolvibile nella somma dei tre quadrati. Non c’è nessuna relazione intrinseca che lega la prima affermazione alla costante della precessione, ma tale legame risultava essere una formula mnemonica privata che compendiava e univa sapere aritmetico, sapere geometrico e sapere astronomico. Come formula mnemonica non ha alcun significato reale e chiunque avesse assunto o trovato o pensato che la longitudine delle stelle aumenta di 50” per anno poteva fare la medesima osservazione, senza tuttavia trarre da quel legame per la memoria motivo o ragione di lode. 

    Ciò che Dante ha trovato invece non concerne il fatto che la successione sessagesimale 9;16,25,50, letta come arco di precessione, individui un intervallo temporale, poiché qualsiasi arco di precessione o moto dell’ottava sfera è un intervallo temporale. Con tale intervallo egli lega un fatto di notevole rilevanza storico-culturale e religiosa, qual è l’arrivo di Muhammad a Yatrib, ad una data di un evento letterariamente esposto, attorno al quale costruisce la scrittura della Vita Nova.

    L’accumulo di coincidenze che stiamo per mostrare sono tali che può configurarsi come un “miracolo”ciò che è legato a tale data nel senso di concorso eccezionale se non unico di diverse circostanze e coincidenze:

     

    1)                             La morte di Beatrice è posta nell’anniversario della morte del Profeta

     

    2)                             Andando a ritroso nel tempo di 8258.5 mesi (= 9° 16’ 25” 50’”) si giunge al plenilunio d’autunno (25,9) di quell’anno (622) in cui inizia l’era degli Arabi.

     

    3)                             L’espressione 9,9,1290 con la quale Dante introduce la data della morte di Beatrice dipende dalla seguente equazione:

     

       9xZ = 9 + 1290x60 = 77409 mesi

     

      con Z = 8601 mesi = 2,23,21 mesi

     

     

    4)                             La prima ragione addotta per il legame del novenario a Beatrice riguarda il numero dei cieli secondo Tolomeo e secondo la verità cristiana. Tale numero viene ripetuto due volte per indicare quella quantità di mesi (9,9 = 9x60+9 = 549) da sottrarre a 2,23,21 mesi (2x3600 + 23x60 + 21 = 8601) del punto 3. Con tale sottrazione si ottiene la seguente equivalenza, che riguarda un ciclo lunisolare, che fa corrispondere il numero dei mesi lunari ad un numero di anni solari, un ciclo che non può essere confuso con la questione dei calendari lunari

     

    ( 2,23,21 - 9,9 ) mesi lunari = 2,14,12 mesi lunari = 651 anni solari

     

    (8601 - 549) mesi lunari = 8052 mesi lunari = 651 anni solari

     

    Seicentocinquantun anni dopo la morte del Profeta Muhammad si giunge al 1283, anno in cui Dante quasi al compimento dei diciotto anni incontra la seconda e ultima volta Beatrice.

     

    Inoltre, l’enigmatica affermazione “che ne la sua generatione tutti e nove li mobili cieli perfettissimamente s’aveano insieme” (VN,XXIX,2 ; 19,5 ediz Gorni) può essere controllata e si può vedere, con il calcolo accessibile allora a pochissimi e oggi a tutti con i programmi al computer, che al novilunio del 6 febbraio 1266 ( otto mesi dopo il novilunio vicino alla nascita di Dante) Giove e Saturno erano in congiunzione, attorno al sesto grado del segno dei Gemelli.

    Benchè la congiunzione dei due pianeti sia stata ritenuta nelle culture antiche foriera di  eventi memorabili, e sia particolarmente sottolineata in trattati astrologici di epoca Sassanide che rappresentano assieme alle Tavole del re (Zig-i Shaahi) l’eredità astronomica persiana trasmessa agli Arabi, non ci pare che essa possa spiegare in modo completo l’affermazione secondo la quale i nove cieli “perfettissimamente s’avevano insieme”. In rapporto a questa enigmatica espressione giova forse ricordare quanto Fuat Sezgin riporta su Masa Allah b. Atari, un giudeo, astrologo alla corte del Califfo al-Mansur :  Come al-Ma'udi (Tanbih, 222) ci riferisce, Masa Allah considera la precessione come il centro, con il quale Dio conserva in equilibrio la sfera celeste .

    Riflettendo sul possibile significato dell’affermazione dantesca sulle sfere celesti in rapporto a Beatrice siamo stati condotti a ipotizzare che la longitudine del sole al novilunio della morte di Beatrice esprimesse anche la misura del moto dell’ottava sfera intercorso dall’origine. Conseguentemente al tramonto del sole all’8 giugno 1290 tramontava anche il punto d’eclittica che al tempo zero segnava l’equinozio di primavera. 

    In questo modo il calcolo delle sfere celesti è reso possibile, nel senso che tale data può assurgere a principio di una cronologia astronomica universale, permettendo per quella particolarità la conoscenza del principio delle ere proprio delle culture arcaiche, calcolando con una semplice trasformazione dell’intervallo temporale anche la posizione del sole o viceversa.

     Quanto poi alla cultura astronomica dei Sassanidi Dante aveva letto in Al-Farghani il numero dei giorni, 3624, che intercorrono dall’inizio dell’Egira all’inizio dell’era di Yazdegerd, ultimo re sassanide, a cui gli astronomi arabi, come Thabit Ibn Qurra, fanno riferimento con il loro sistema di doppia datazione: 15  giugno 632.

    La figura di Beatrice, dopo queste premesse, appare come una geniale costruzione letteraria, basata proprio su quella data. La formula mnemonica trovata permetteva di legare il sapere del cosmo, i cui primi passi sono dati dall’aritmetica e dalla geometria, con  il sapere della storia e delle tradizioni ancorando la sapienza alla storia. Per Dante non c’è cosmo senza storia né conoscenza della storia senza conoscenza del cosmo. Con ciò non si vuole negare che nella scrittura della Vita Nova non sia letterariamente filtrata anche un’esperienza amorosa, come significante simbolico di un’altra esperienza e materia per “l’arte del dire parola per rima”.

    Tuttavia il primo sonetto contenente la visione avuta in sogno dopo il cenno di saluto di Beatrice è presentato come una sfida ed un enigma per i “famosi trovatori in quello tempo”, le cui risposte non colsero allora “lo verace giudicio del detto sogno” (VN,III,15 ; 2,2 ed. Gorni). Preso alla lettera questa affermazione significa che il primo tentativo di Dante di farsi accogliere nella società letteraria di Firenze fallì, e può essere all’origine non solo del progetto di scrivere la Vita Nova, ma anche della strategia comunicativa secondo lo stile e la cultura di allora, trovando nel prosimetro di Boezio la via da seguire. Se quel sonetto “ora è manifestissimo a li più semplici”, dopo l’inserimento nel quadro cronologico dei due incontri narrati e nella sottolineata divisione della composizione poetica, tuttavia permane ancora ermeticamente chiuso, malgrado generazioni di studiosi si siano dedicati ad esso, cogliendone e sottolineandone la fittissima trama di possibili riferimenti, oltrechè il preannuncio letterario della morte dell’amata.

    Il secondo incontro avviene nel 1283 dopo nove anni esatti dal primo incontro all’ora nona di quel giorno e a 651 anni dalla morte del Profeta dell’Islam. In quel giorno, viene narrato, Beatrice si rivolge verso quella parte dove pauroso si trovava il poeta: “mi salutoe molto virtuosamente, tanto che me parve allora vedere tutti i termini de la beatitudine. 2 L’ora che lo suo dolcissimo salutare mi giunge, era fermamente nona di quello giorno; e però che quella fu la prima volta che le sue parole si mossero per venire a li miei orecchi, presi tanta dolcezza, che come inebriato mi partio da le genti, e ricorsi a lo solingo luogo d’una mia camera, e puosimi a pensare di questa cortesissima.” (VN III,1-2 ; I,12-13 ed. Gorni). Quel saluto è l’unica azione che liberamente compie Beatrice nei confronti di Dante, è un saluto che rinnova completamente la vita del poeta. Gorni a proposito del saluto di Beatrice acutamente così annota: La donna che saluta con tanta grazia è come una figura di Gabriele, titolare della salutatio angelica nei confronti di Maria: un ave rivolto a Dante .

    Se si mette a confronto il secreto che nel Convivio II,V,4 viene rivelato dall’arcangelo Gabriele e il secreto che il poeta dice di celare in tutti i modi nella Vita Nova, relativo a Beatrice, a colei che, avendolo salutato, è divenuta la donna della salute, si può già presagire che vi sia un rapporto tra Beatrice e l’arcangelo Gabriele. Possiamo domandarci se  dobbiamo pensare ad una analogia: il saluto dell’arcangelo a Maria sta ad essa, come il saluto di Beatrice sta al poeta? Con queste domande possiamo cominciare ad affermare che Beatrice, forse per una nascosta relazione con l’arcangelo Gabriele, potrà assumere la funzione di guida nell’accompagnare il poeta nella terza cantica, funzione di guida propria dell’angelo, come si trova nell’apocalittica giudaica e nell’esperienza filosofica e mistica dei sufi iranici, che si collegano a Platone ed a Hermes, e in quella degli ismailiti, nonché in quel viaggio notturno del Profeta Muhammad appena accennato nel Corano (XVII,1).

    Il saluto di Beatrice ci appare a questo punto non solo il premio che il poeta di un mondo cortese può attendersi dalla donna che egli canta, ma soprattutto la sapienza che rivela quel secreto che riguarda l’angelo che annuncia la nascita del Messia e l’inizio del regno escatologico: Angelus Domini nuntiavit Mariae… Così il saluto di Beatrice diviene l’immagine allo specchio del primo saluto, che rinnovò completamente la storia. Se l’amore suscitato dalla bellezza di una donna è il sentimento o la passione che trasforma la vita di un uomo, allora la storia ben esile di questo eros è solo il simbolo di una esperienza innovatrice ben più profonda: quella per cui tutte le antiche parole della tradizione risuonano come nuove nell’universo rinnovato di un cielo e di una terra vera, aperto da quel simbolico saluto.

    Come nell’immagine allo specchio la distanza prospettica è semplicemente virtuale, così la distanza temporale dell’evento del saluto di Beatrice rispetto al tempo della morte del Profeta Muhammad  è il riflesso della distanza di questo evento rispetto al tempo del saluto dell’arcangelo Gabriele. Andando indietro di 651 anni ovvero di 8052 mesi si oltrepassa il 6 a.C (632 - 651 = -19). Per questa ragione nel testo viene precisato che l’ora del suo salutare era proprio l’ora nona. Rimanevano ancora tre ore temporali di luce. Questa indicazione corrisponde alla osservazione che il tre è la radice del nove. Con questi termini numerici è possibile trovare quella quantità di mesi da sottrarre al ciclo di 651 anni: 3x60 - 9 = 171,  e quindi, 8052 - 171 =  7881 mesi. Dal 6 giugno 632  tornando indietro di 7881 mesi si giunge al plenilunio di primavera del 6 a.C. , il quattro aprile e nove mesi lunari dopo la data del plenilunio è precisamente quella del 25 dicembre.

    Questo è quanto pensò di aver trovato Dante, che espresse simbolicamente in quel saluto e nella data di morte di Beatrice. V’è ben più di un motivo di lode, e per il suo ingegno e per la sua capacità di scrittura. Esula dal progetto di questa comunicazione mostrare tutti i testi della tradizione religiosa cristiana che possono corroborare quanto crediamo di poter affermare almeno a titolo di ipotesi ben fondata.

    Il seguente schema temporale illustra meglio di qualsiasi discorso quanto veniamo dicendo e può orientare la futura ricerca nella lettura della Vita Nova, del Convivio e della Divina Commedia:

     

     

    In questo schema si può vedere come la data di morte del Profeta Muhammad sia l’asse di simmetria temporale attorno a cui Dante situa il saluto di Beatrice e il saluto dell’arcangelo Gabriele.

    Le tre ragioni dichiarate del legame del novenario a Beatrice sono identificabili, partendo proprio dal valore di 8601 mesi ottenuto, come abbiamo visto, dal modo in cui Dante comunica la data della morte: da 9,9,1290 si calcola (1290x60 + 9)/9.

    La prima ragione, tratta dal numero delle sfere, fornisce la quantità di mesi (9,9 = 549) da sottrarre a 8601, trovando il ciclo lunisolare di 651 anni, che appartiene, come abbiamo dimostrato, ad Apollo.

    La seconda ragione basata sull’osservazione che il tre è la radice del nove fornisce la quantità di mesi (3,-9 = 3x60 - 9) da sottrarre al ciclo di Apollo per trovare il tempo intercorso dal tempo dell’Annunciazione a quello della morte del Profeta Muhammad.

    La terza ragione, rinvenibile nell’arco di precessione per il tempo intercorso dall’arrivo del Profeta Muhammad a Medina e la morte di Beatrice, è forse quella “più sottile ragione” a cui accenna Dante.

    È importante sottolineare che nello schema manca un dato, la cui conoscenza è necessaria per poter passare dalla cronologia secondo l’era cristiana alla cronologia rispetto all’origine temporale di tutti i tempi, a quell’origine che nella tradizione qualifica il tempo della creazione del cielo e della terra. Tuttavia a quello schema non si potrebbe giungere se non si conoscesse sia il tempo  trascorso dall’origine della creazione al momento dell’Annunciazione sia quello trascorso dall’origine al momento della morte del Profeta Muhammad. Queste due informazioni, appartenendo come prerequisiti al “libro della memoria”, impediscono di per sè a Dante il commento alla morte di Beatrice, altrimenti sarebbe venuto meno lo scopo, o uno degli scopi, della Vita Nova: quello di tracciare una via per la ricostruzione della storia della salvezza nel quadro della storia delle culture arcaiche (classica, ebraica, cristiana, araba).

    Dato pertanto quello schema, non è ancora possibile rispondere alla domanda sui mesi intercorsi dal tempo zero alla data di morte di Beatrice, informazione questa, che Dante credette di poter comunicare con il suo primo sonetto A ciascun’alma presa come se fosse un enigma  indirizzato ai Fedeli d’amore. Esula dall’intento di questo saggio mostrare, mediante l’analisi del sonetto, le modalità con cui Dante cripta l’informazione; anche perché ciò  esige, contemporaneamente, il discorso sulla struttura della cosmologia arcaica e sulla teoria della composizione del testo letterario e religioso nelle culture antiche. Questi, però, sono temi troppo complessi per essere dipanati nel breve spazio di un articolo.

    Quanto abbiamo esposto per gli studiosi di Dante e per l’uomo colto contemporaneo può essere controllato senza la conoscenza tecnica della cosmologia arcaica e senza ricorrere ad una teoria della composizione dei testi antichi da Omero a Dante.

    Poiché i calcoli astronomici non appartengono alla competenza degli storici della letteratura, per coloro che intendono conoscere e seguire questa specifica metodologia di ricerca, alla elaborazione della quale ci dedichiamo da diversi decenni, è possibile consultare mediante Internet appositi programmi al computer. Rimandiamo a futuri saggi l’interpretazione dell’inizio della Vita Nova e quella del canto XXXIII del Paradiso, nel cui ultimo verso, l’amor che move il sole e l’altre stelle ricorda precisamente sia “lo cielo della luce” che “lo Cielo Stellato” dell’inizio della Vita Nova.

    Così al termine della terza cantica siamo ricondotti proprio là donde Dante cominciò, avvertendoci tuttavia di un nuovo orizzonte di senso, secondo il quale la relazione del movimento del sole e delle stelle all’Amor va ben oltre la dottrina aristotelica del motore immobile del libro XII della Metafisica. Implica, infatti, non solo la dottrina cristiana della Trinità, ma anche l’aspetto cosmologico, un vestigio imperfetto della dottrina della  “ferventissima caritade de lo Spirito Santo” del Convivio. Per questa ragione negli ultimi quattro versi del Paradiso ravvisiamo una corrispondenza tra il riflesso antropologico e quello cosmologico della dottrina trinitaria: e nel verso sì come rota ch’igualmente è mossa si può forse anche vedere un riferimento al modello secondo il quale il sole e le stelle sono solidali nel loro movimento, affermazione che, come abbiamo visto, qualifica l’astronomia araba a fronte di quella tolemaica. 

     

    1)DANTE ALIGHIERI, Vita Nuova, Introduzione di Giorgio Petrocchi. Commento di Marcello Ciccuto, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1984 ; Vita Nova, a cura di Guglielmo Gorni, Giulio Einaudi Editore, Torino 1996.

    2)DANTE ALIGHIERI, Vita Nova, a cura di Guglielmo Gorni, Torino, Einaudi 1996, pag. 168

    3)DANTE ALIGHIERI, Vita Nova , op.cit., a cura di G.Gorni, pag.266

     4) ROBERT L. JOHN, Dante Templare, Una nuova interpretazione della Commedia, Hoepli, Milano 1987

     5)Il Corano, Introduzione, Traduzione e Commento di Alessandro Bausani, Biblioteca universale Rizzoli, IV ediz. Milano 1994, Introd., XXX.

    6)HERMAN H. GOLDSTINE, New and Full Moons, 1001 B.C. to A.D. 1651, American Philosophical Society, Philadelphia 1973.

     7)Sulla cosmologia arcaica ci permettiamo di rinviare a GIOVANNI FERRERO, Introduzione alla cosmologia arcaica greca, in “Rivista Rosminiana “ (1987) Fasc. I, pp.32-57; Il modello aritmetico della cosmologia arcaica, Appendice a Il secreto dell’arcangelo Gabriele. Ermetismo e cristianesimo nella genesi dell’opera di Dante secondo il quadro cosmologico della Sapienza arcaica, in “DSU”, Rivista del Dipartimento di Scienza dei processi conoscitivi, (1996) Anno I-N.1, pp.137-182; L’unità del sapere nel quadro della cultura antica. La comunicazione analogica ed iconica del sapere in Grecia, in “Quaderni di Storia della Fisica” 4, 1999 - pp. 3-38.

    8) Si noti come questo passo non solo legittima, come pertinente allo stile comunicativo di Dante, la ricerca, precedentemente indicata, dell’arco di precessione corrispondente al tempo intercorso tra l’entrata del Profeta a Yatrib e la morte di Beatrice, ma anche mette sull’avviso il lettore della differenza tra Dante e Beatrice. Infatti per sé applica la convenzione di indicare l’età  mediante il numero di giri del “cielo della luce”, quello del sole, equivalenti al numero di anni, mentre per Beatrice l’età è indicata, in senso tecnico, mediante un incremento di longitudine, il cui uso riguarda propriamente le stelle in conseguenza del moto dell’ottava sfera. Per trovare l’età è necessario trasformare l’arco di circonferenza compiuto dal moto della sfera celeste per quell’intervallo di tempo.

     9) DANTE ALIGHIERI, Convivio, a cura di Giorgio Inglese, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1993, pp. 103-104; e soprattutto  Convivio, a cura di Cesare Vasoli e Domenico De Robertis, Classici Ricciardi Mondadori, Volume II Tomo I,  Milano-Napoli  1995, pag. 167

     10)Convivio, op.cit.,a cura di G. Inglese, pag. 133; a cura di C. Vasoli e D.De Robertis, pp.252-53.

     11) “secondo Tolomeo e secondo la cristiana veritade”, V.N,29,2 [19,5 ediz. G.Gorni]; cfr. Convivio,II,3-4-inizio del 5.

     12)La rivoluzione da oriente a occidente della nona sfera riguarda il moto apparente diurno che si compie in quasi 24 ore, trattandosi del giorno siderale e non di quello solare, individuato, questo, da due passaggi consecutivi del sole al meridiano.

    13) Convivio, op.cit., a cura di G. Inglese, pag. 100;  a cura di C. Vasoli e D.De Robertis, pag. 158

    14) THABIT IBN QURRA, Oeuvres D’Astronomie, Texte ètabli et traduit par Règis Morelon, Societé d’édition “Les Belles Lettres”, Paris 1987

     15)THABIT IBN QURRA, op.cit., note tecniche a cura di R. Morelon  pag. 205

     16)THABIT IBN QURRA, op.cit., Introduzione Morelon, L

    17) THABIT IBN QURRA, op. cit., pag.22,1-8

     18)R. MORELON, op.cit. Introduction, pag. L.

    19) JACOB GOLIUS, Muhannedis fil. Ketiri Fragmentis qui vulgo Alfraganus dicitur, Elementa astronomica, Arabice et latine, Amsterdam 1669, pp.49-50.

     

     20)Su questo punto cfr. il magistrale commento e riferimento alle fonti  di C. Vasoli, in Convivio, op.cit. pp.126-167

     21)G. FERRERO, Introduzione alla cosmologia arcaica greca, op. cit., pp.46-51.

     22)Su questo punto rimandiamo a GIOVANNI FERRERO, I Cieli aperti. Il racconto del Battesimo di Gesù di Marco I,1-13 nel quadro della cultura arcaica, in Il pensiero forte, arma vincente agli inizi del nuovo millennio. Santa Maria La Vite - Olginate 25-26-27 settembre 1999, Atti del Congresso CE.I.L.S.O., Edizioni CE.I.L.S.O., pp.89-91.

    23) Nella Divina Commedia il termine numerico cinquanta ricorre due volte in Inferno,X,79 riferito ai mesi lunari e in Purgatorio IV,15 riferito ai gradi del sole.

     24)Per procedere al calcolo è necessario trovare il numero di anni equivalenti (8258.5 x 29.5306/365.2422 = 667.71709.. anni) al numero di mesi lunari e dividere il risultato per 72, ottenendo gradi 9.2738485… Con la trasformazione dal sistema decimale a quello sessagesimale  si ottiene 9:16,25,51.27… Questo è il risultato che si ottiene con le attuali procedure di calcolo. A questo medesimo risultato si giunge applicando la formula 10 del Modello aritmetico della cosmologia arcaica, op.cit., pag. 175: 8258,5/890.5 - (0.81x8258.5/12000x1/3600) = 9.273848522.

     25)ANICII MANLII TORQUATI SEVERINI BOETII, De  Institutione  Arithmetica., II, 12, 29-30 pp. 96-97 edidit  G. Friedlein, Lipasiae MDCCCCLVII, ristampato Minerva G.M.B.H., Frankfurt a. M, 1966. Il vedemo del testo di Dante corrisponde al videre del testo di Boezio. Cfr. inoltre Ars Geometriae, op.cit., pp 409-410 De orthogonio, sul triangolo rettangolo con lati 3,4,5.

    26)Il ciclo pasquale di 19 anni è un ciclo lunisolare perché 235 mesi lunari sono quasi equivalenti a 19 anni tropici, per cui sole e luna ritornano alle medesime condizioni, mentre il ciclo di 25 anni dell’antico calendario egizio, risulta “ un semplice schema periodico basato sul fatto che 25 anni civili egizi (che contengono 9125 giorni) sono quasi eguali a 309 mesi lunari medi” (OTTO NEUGEBAUER, Le scienze esatte nell’Antichità, tr. it, Feltrinelli Editore Milano, 1974, pag. 115 e pag. 121).

    27)SEYED HOSSEIN NASR, Scienza e civiltà nell’Islam, Prefazione di Giorgio de Santillana, Feltrinelli, Milano 1977, pag. 138

    28)FUAT SEZGIN, Geschichte des Arabischen Schrifttums, Band VI, Astronomie, Leiden E.J. Brill, 1978, pag. 128

     29) DANTE ALIGHIERI, Vita Nova, a cura di G. Gorni, op.cit., pag. 16 nota : virtuosamente.

    30)G.FERRERO, Il secreto dell’arcangelo Gabriele, op.cit. pp.149-150

     31)GIOVANNI FERRERO, Il sapere di Apollo. La cosmocronologia arcaica secondo il codice iconico narrativo greco, in “Quaderni di Storia della Fisica” (1997) II, pp. 3-24.

     32)Una prima esposizione della interpretazione di alcuni passi di Dante si può trovare al seguente indirizzo: http://www.dismec.unige.it/Cultura_arcaica/testi/cosmo/sfera1.htm con tutti gli strumenti di calcolo astronomico.

     33)Sulla complessa lettura degli ultimi quattro versi del Paradiso cfr. LINO PERTILE, Poesia e Scienza nell’ultima immagine del Paradiso, in  AA.VV., Dante e la scienza, a cura di Patrick Boyde e Vittorio Russo, Longo Editore Ravenna, 1995 pp.132-148, Atti del Convegno Internazionale di Studi “Dante e la scienza”, Ravenna, 28-30 maggio 1993.

     

     

     

     

                Giovanni Ferrero

                Storia del pensiero scientifico, Facoltà di Scienze della Formazione, Università di Genova

                Corso Montegrappa 39 - 16137 Genova

                E-mail: giovanni.ferrero@hotmail.it